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Una testa ben fatta non basta

E’ questa ridondanza cognitiva che ci permette di non essere sorpresi da eventi totalmente inaspettati, ci permette di riconoscere le possibile retroazioni sistemiche delle nostre azioni e quindi di concepire schemi di azione più solidi, sostenibili ed efficaci. Educare alla complessità significa allenare questa capacità di generare molteplici alternative di mondo. E noi questo non lo stiamo facendo. Al contrario, insegniamo agli studenti che esiste una risposta giusta e tante risposte sbagliate. Li riempiamo di nozioni, alleniamo la loro memoria e, in definitiva li facciamo diventare selezionatori di crocette su un pezzo di carta. […] Edgar Morin ha sottolineato che “la nostra realtà non è altro che la nostra idea della realtà”. Se la nostra educazione ci porta a concepire la realtà come lineare, i problemi come complicati, e le risposte come “giuste e sbagliate”, certamente non preparerà i giovani a convivere con l’incertezza e a comprendere l’evoluzione e le dinamiche di un mondo globalizzato e interconnesso.

via Competere nella Complessità, di Alessandro Cravera

L’articolo di Alessandro Cravera, per il resto molto condivisibile, andrebbe corredato da una piccola nota a margine. Quell’addestramento alla risposta corretta non ha nulla di formativo nemmeno dal punto di vista etico. Non insegna la passione per il lavoro, il rispetto per gli altri, e il coraggio delle idee. Viene a mancare lo sviluppo intellettuale di una testa ben formata e allo stesso tempo la crescita umana di uno spirito forte. E allora, qui è davvero necessario arrestarsi. Di fronte alla deriva tecnico – burocratica in cui, ormai da anni, si sta trascinando la scuola pubblica è doveroso opporre un no sonoro e stentoreo, forti di una motivazione strettamente utilitaristica. Perché un sistema competitivo si costruisce solamente all’interno di un ambiente sano, che premia gli individui più affidabili ed onesti.

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Piccola nota sul progetto

Mai firmare un documento che non capisci o che non conosci sino in fondo. La differenza tra pressappochismo e trattamento serio dei problemi passa anche attraverso la pedanteria ossessiva con cui si pesano le scelte. Non solo il rigore è condicio sine qua non per lavorare ma è anche l’unica condotta che rende le conoscenze e le competenze acquisite trasmissibili e cumulabili. La didattica del progetto non insegna questa saggezza pratica. Educa però alla cura minuziosa dei particolari e da qui, indirettamente, ad una più consapevole valutazione delle proprie azioni.

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La forza della rinuncia

Il giunco cede alla forza degli elementi, si abbandona alle circostanze, ma che ne resta dei suoi sogni? Giunco che speravi, tremavi, trepidavi, dove è andata a morire la tua essenza? Il rovescio di una pronunciata, ben manifesta, e anche compiaciuta facoltà adattiva, sono l’indifferenza per il vero e la trascuratezza dei valori. C’è un punto limite, l’epifania di una consapevolezza più alta, oltre la quale chi procede trasforma irrimediabilmente la forma plastica del proprio agire in arrendevolezza. Orbene, di fronte al limitare di questo confine solo alcuni hanno saputo indietreggiare.

Essi si curano dell’unico coraggio per cui valga la pena spendere una vita intera: quello delle idee. Non si abbandonano alle esortazioni, alle idealità astratte. Ossia il dovere per il dovere, o peggio la benevolenza universale, che è solo un’ipocrita falsificazione della fratellanza costruita sulla ragione. Non correggono l’angoscia della scelta con le parole vuote di una retorica infantile. Piuttosto contano i passi della loro giornata, ripercorrono le orme alla ricerca di un segno di smarrimento. Traducono concretamente le idee in comportamenti. E così realizzano un percorso attraverso la rinuncia. A cosa? Alle navigazioni di piccolo cabotaggio, all’amministrazione del quotidiano, agli apparentamenti strumentali.

La vita autentica nasce lì, in quell’esperienza meravigliosa che si chiama progetto, perché esso è il cuore dell’uomo che trasforma l’erranza in viaggio, l’immensità del mare in una rotta. È dovere e diritto nello stesso tempo, impegno e speranza ben riposti. Perseverare nella fedeltà a se stessi è una moneta che paga sul lungo periodo, come direbbe Hegel in catene o sul trono. Ma coloro che hanno scelto la coerenza, andrebbero trattati come tesori della comunità. Esempi di valore da imitare. Quando tutto sembrerà perduto, a loro affideremo il nostro destino. E l’abnegazione, per una segreta intelligenza che abita il mondo, avrà improvvisamente il sopravvento sul meschino opportunismo. La solidarietà diventerà una risorsa indispensabile, l’onestà un bene prezioso. Ognuno farà la propria parte per opporre l’essere al nulla, la vita alla morte.

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Risolvere problemi

Uno studio OCSE – PISA del 2012 ha sottoposto gli allievi quindicenni di 44 Paesi ad una serie di testi per misurare la loro capacità di risolvere problemi non scolastici. Nonostante le difficoltà nel raggiungere le medie di rendimento nelle prove matematiche i nostri ragazzi hanno rivelato competenze inaspettate in problem solving. In particolare gli studenti del Nord si sono classificati tra i primi dieci nelle classifiche, con capacità paragonabili a quelle dei pari età di Shanghai e Taiwan. Scrive Francesco Avvisati, ricercatore OCSE – PISA, sul Corriere:

Un ambiente virtuale – creato al computer – è stato usato per simulare situazioni di vita reale, quali un dispositivo elettronico che non funziona oppure un viaggio da pianificare. Lo studio ha permesso di osservare la capacità di misurarsi con problemi la cui soluzione non è immediata. Ai giovani studenti era richiesto di mostrarsi aperti alle novità, di accettare il dubbio e l’incertezza, e talvolta di osare una soluzione sulla base del loro intuito. Ma anche di ragionare in modo deduttivo e di imparare durante il test a navigare una situazione complessa, utilizzando le informazioni disponibili e quelle ottenute in risposta alle proprie azioni.

Francesco Avvisati, Correre della Sera, 1 aprile 2014

Ora, i risultati sono effettivamente sorprendenti, anche alla luce del fatto che sono gli studenti meno bravi ad aver raggiunto i punteggi più alti, ma in un certo senso non fanno altro che confermare uno stereotipo del tutto italiano: la nostra connaturata capacità di sapercela cavare in ogni occasione. Improvvisare, destreggiarsi negli imprevisti, sono indubbiamente qualità importanti ma solo se orientate all’interno di una strategia più ampia. Non c’è futuro nell’arte di arrangiarsi, solo amministrazione del quotidiano. In sintesi, ben venga il problem solving come risorsa, anche per valorizzare le intelligenze “divergenti”, ma solo all’interno di una strategia più ampia. Solidarietà, responsabilità, onestà, coraggio, sono valori che mancano nell’azione di progetto e rispetto ai quali il lavoro di formazione è lungo, faticoso, ed estremamente complicato.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il futuro oggi

via manteblog

Lascia senza parole constatare come lo sviluppo tecnologico prenda strade imprevedibili e meravigliose. Sarà lo sguardo ingenuo dell’umanista, ma che Google arrivi nel giro di pochi anni a progettare un’auto senza guidatore, partendo da un motore di ricerca, è cosa davvero sbalorditiva. Ora, la domanda è: quanto sono controllabili gli effetti a lungo termine di un progetto, in un contesto in cui la linearità dei processi ha ceduto il passo ad una complessità crescente? Le opportunità emergono in maniera esponenziale all’aumentare del potere della tecnica. Per questo motivo, si dice che il battito d’ali di una farfalla diventa un uragano dall’altra parte del mondo. Stiamo vivendo l’anticipazione di un futuro straordinario e allo stesso tempo sconcertante, che pone la ragione di fronte ad interrogativi inauditi e per adesso senza risposta.

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