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Nella mia classe non vola mai una mosca

Nel suo ultimo libro (Togliamo il disturbo, Guanda Editore), Paola Mastrocola sostiene che la nuova cultura progressista ed egualitaria figlia del Sessantotto si sia imposta a scuola grazie ad una feroce battaglia contro i contenuti.

Si teorizza l’esaltazione della metodologia, la vittoria del come sul che cosa si insegna. Colpa anche della UE, che attraverso le sue direttive obbliga i docenti a perseguire le competenze, concetto fumoso, e a lasciar perdere i programmi, con conseguente vittoria delle verifiche a crocetta, e delle animazioni visive e teatrali.

Ora, non voglio fare di certo l’apologia della didattica spettacolare, o di quel pedagogismo deteriore che trasforma i segmenti in bastoncini. Ma, per favore, non venitemi a dire che le competenze sono oscure, perché chi è abituato a fare sa riconoscerle distintamente.

Ecco un esempio. Prendete un musicista uscito dal conservatorio e dal liceo musicale (un musicista fortunato che ha incontrato buoni docenti!). Avrà accumulato, in anni di duro lavoro, parecchie conoscenze di storia della musica, composizione, letteratura, filosofia, e tecnica strumentale. Diverse abilità: solfeggiare, suonare, cantare. E naturalmente alcune competenze. Quali? Quelle apprese frequentando i corsi di esercitazione orchestrale, musica da camera, quartetto. Ovvero quelle classi – laboratorio in cui viene surrogata la futura esperienza lavorativa.

Non è difficile comprendere come la responsabilità verso il lavoro degli altri, l’autonomia, o la capacità di risolvere problemi, siano attitudini allenabili solamente attraverso consegne di tipo operativo. Non basta un ottimo violinista per fare un eccellente orchestrale. A maggior ragione per suonare all’interno di un gruppo da camera si richiede un know how ancora più raffinato, afferente al management o alla followership a seconda dei casi.

Il transfer dal mondo musicale a quello delle professioni è intuitivamente immediato. Si dirà che queste argomentazioni valgono per l’insegnamento tecnico, ma non per il liceo; dove si fa cultura, una cultura non svilita da possibili applicazioni pratiche. E allora peccato per gli studenti liceali, che diventeranno ben educati ma che perderanno chance importanti per essere felici, nel lavoro e nella vita.

Perlopiù questi ragazzi saranno medici, avvocati, artigiani. Faranno gli impiegati o gli ingegneri, addirittura molti svolgeranno professioni che oggi nemmeno esistono. Quali sono le ragioni per cui non si offre anche a loro un apprendimento che integri l’insegnamento dei contenuti?

E’ questa la domanda centrale della rivoluzione in atto: una volta non ce lo chiedevamo, adesso sì. Una volta non pensavamo al fine e al senso e alla “ricaduta” concreta di un canto di Dante: perché per noi i canti di Dante avevano un senso e un fine in sé. La cultura era esattamente questo: qualcosa di assolutamente fine a se stesso, e dunque “utile in sé”, utile a priori, utile di una sua specifica utilità, non verificabile, non misurabile, non commerciabile.

Vorrei estendere la riflessione al concetto di “violenza simbolica”, toccando anche il problema degli effetti pervasivi che il modo di comunicare ha sul contenuto del messaggio (il Dante in sé…); vorrei ma in fondo non ne vale la pena, perché la questione è molto più umana. Come ricorda Camus: bisogna adoperare i propri principi nelle grandi cose, nelle piccole basta la misericordia.

Capisco quindi la paura e il senso di inadeguatezza che tanti provano di fronte al cambiamento: significa perdere un nido confortevole, con regole certe e liturgie rassicuranti. Vuoi mettere con il casino che c’è là fuori? Nella mia classe non vola mai una mosca! Questo si sente dire nei corridoi…

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Botta e risposta con Giorgio Israel

Di seguito il botta e risposta con Giorgio Israel dopo il mio commento ad un suo post (leggi qui).

Giorgio Israel

Gentile Professore, ho riempito centinaia di pagine per descrivere la catastrofe della scuola e soprattutto a partire dal primo ciclo. Non sono l’unico a averlo fatto. Ha letto il libro di Mastrocola? Non saprei quindi cosa aggiungere. Che l’ondata sia arrivata meno nei licei è indubbio. Abbiamo posto anche un fragile argine con le nuove Indicazioni nazionali. Ciò posto, sì, anch’io penso che la metodologia didattica è spesso ciarpame ideologico. Il problem solving è la scoperta dell’acqua calda, l’apprendistato cognitivo e l’inquiry learning sono sciocchezze senza capo né coda. Non al limite della moralità, oltre il limite dell’ignoranza.
Lei dice che il costruttivismo è rigore? Che vuole che le dica? Non riesco a prendere sul serio il “rigore che trascende lo scopo” e la “verità negoziata”. Mi fa venire in mente la negoziazione della verità del teorema di Pitagora. E penso che si tratti di parole vuote di senso.
Infine mi spieghi: cosa intende con verifiche “sommative”? Confesso di non capirlo. Delle verifiche ottenute con processi di somma? O come si intende in docimologia, come un verifica effettuata a compimento di un processo didattico per verificare la validità delle scelte adottate in rapporto a un determinato traguardo formativo. In tale caso non vedo perché non dovrebbe piacerle: sarebbe in pieno stile costruttivista. Le verifiche “sommative” sono le più adeguate al problem solving, mentre quelle “formative” non sono valutabili. Questo almeno dicono i teorici che dovrebbero piacerle. Oppure voleva dire “sommarie”?

Orfeo Bossini

Intendevo con verifiche sommative le verifiche che si somministrano al termine di una serie di argomenti svolti, proprio per distinguerle dalle formative che invece dovrebbero compiersi in itinere. Se poi vogliamo dire che le verifiche ottenute con processi di somma sono di regola anche “sommarie”, non posso che darle ragione. Il punto è che qui lo stile costruttivista c’entra poco se, come penso, questo si caratterizza soprattutto per l’attenzione rivolta alla valutazione delle competenze (di cittadinanza!). Non è possibile valutare una competenza alta come “autonomia e responsabilità” con una prova strutturata o semi – strutturata. Nemmeno una lunga e ben discussa interrogazione può farlo. C’è bisogno di altro, di un progetto da realizzare a partire da una fase di ideazione astratta e (mi scusi) rigorosa. Ma qui mi fermo, sapendo di non poter raccogliere la sua approvazione.

Chiudo con una brevissima nota sull’ultimo libro di Mastrocola. L’ho acquistato il giorno stesso in cui ho letto la sua recensione. Divorato, perché la professoressa è davvero una brava scrittrice. Naturalmente non condivido tutti i contenuti. Credo, per esempio, che non esista una contrapposizione tra nozionismo e competenze, perché le competenze possono svilupparsi solamente a partire da una solida conoscenza dei contenuti (in questo senso, obiettivi disciplinari e finalità educative sono complementari). Credo, inoltre, che la democrazia non sia massificante o nemica del talento. Valorizza le differenze, una risorsa di cui non possiamo proprio fare a meno. Lo ammetto candidamente: sono un radical chic senza speranza!

Giorgio Israel

Allora, a proposito di democrazia, mi permetto di proporle il mio articolo che uscirà sul prossimo numero di “Scuola democratica” per mostrare come e perché la contrapposizione tra competenze e conoscenze vada superata. Vorrei anche proporle la relazione che ho tenuto al Convegno Gilda, ma è un power point e non può essere messo in rete in un blog.

2 commenti

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