A chi non considera il principio di realtà, a chi non sa parlare un linguaggio di decente modernizzazione liberale dell’economia, di riforme pro mercato e pro lavoro, a chi cerca di turlupinarci con vecchi rancori anticasta, con cretinate sociali da lotta di classe fuori tempo, con narrazioni obsolete alla Saviano e Vendola, non sarà troppo difficile rispondere con un programma serio di riscatto e di rinascita italiana. […] Dagli arresti domiciliari si possono fare grandi cose, se un movimento e uno staff acconci fossero capaci di rilanciare l’immagine vera, quella di un prigioniero che si considera uomo libero, di un uomo accanitamente insultato, diffamato e perseguitato che sa come cavarsela alla Superman, perché usa la modestia dei suoi avversari politici e togati come il supereroe usava la kriptonite.
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Superomismo d’accatto
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Il sofista
Secondo Platone il sofista è una bestia multiforme e sfuggente. Non è un filosofo e non è un politico. Forse è un commerciante, ma un commerciante molto particolare che non tratta beni materiali bensì idee.
Egli possiede una grande abilità retorica, talmente raffinata da permettergli le più ardite dimostrazioni. Il sofista è in grado di provare un assunto e nel volgere di un istante pure il suo contrario.
Sempre secondo Platone, quest’arte confutatoria potrebbe essere usata a fin di bene, per smascherare pregiudizi e ipocrisie del senso comune. Ma nelle mani del sofista essa diventa piuttosto uno strumento che legittima l’uso della forza nel governo dei popoli.
Infatti, negando qualsiasi criterio razionale per distinguere il vero dal falso, o il bene dal male, il sofista difende segretamente un’idea malsana, ovvero che la giustizia sia l’utile del più forte. Sono gli individui a dare valore ai comportamenti e non il contrario. E il dominatore può macchiarsi delle peggiori nefandezze, ottenendo come ricompensa la reputazione di uomo felice e virtuoso.
Al prevaricatore di turno il sofista dona quindi la propria benedizione, almeno sino a quando i tempi non sono maturi per un nuovo cambiamento di rotta e per un nuovo tiranno da riverire e da amare.
Bene, siccome Platone è morto nel 347 aC, è ovvio che ogni analogia tra il sofista e Giuliano Ferrara è da considerarsi inadeguata e mancante del benché minimo rigore storico – scientifico.
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Dilettanti allo sbaraglio
Ieri sono andato a letto tardi, ho girato per Milano mi sono fermato in una libreria e ho trovato un libro di Emanuele Kant, il filosofo che Umberto Eco legge senza capirlo. Nel libro “Scritti politici” Kant scrive: “Il capo supremo deve essere giusto per se stesso e tuttavia essere un uomo. Da un legno storto come’è quello di cui l’uomo è fatto non può uscire nulla di interamente diritto”. Questa è l’essenza del liberalismo che i puritani e i moraleggianti robespierristi giacobini non hanno mai capito, per questo hanno tagliato tante teste e realizzato un mondo di terrore. [Quindi citando l’introduzione al testo di Gioele Solari] “Particolarmente severo si dimostra Kant contro il dispotismo etico. Lo Stato che vuole attuare con mezzi coattivi la felicità individuale o la morale collettiva non raggiunge lo scopo e diventa oppressore.” E’ chiaro, professor Eco? E’ chiaro che lei Kant lo legge fino a tarda notte ma non lo capisce?
(Giuliano Ferrara)
Giuliano Ferrara ha aperto con queste parole la manifestazione dei “mutandari” al teatro Dal Verme di Milano. Sono parole che denotano una colpevole sciatteria culturale, e che lo qualificano come un dilettante allo sbaraglio. Vediamo nello specifico perché.
Il capo supremo deve essere giusto per se stesso e tuttavia essere un uomo. Da un legno storto com’è quello di cui l’uomo è fatto non può uscire nulla di interamente diritto
Ferrara si dimentica di aggiungere (più probabilmente non lo sa) che per Kant la morale è possibile proprio in virtù di questa imperfezione. Se l’uomo fosse volontà pura, se la volontà coincidesse con i principi della ragione, allora egli vivrebbe in una condizione di santità felice ma immeritevole. D’altro canto, se l’uomo non fosse libero sarebbe dominato dai suoi impulsi egoistici, e quindi non sarebbe responsabile delle proprie azioni (non imputabile di fronte al tribunale della ragione). Insomma, la moralità è uno sforzo, un tirarsi fuori dalla natura animale attraverso una coercizione della ragione. Al contrario è immorale il crogiolarsi nei propri vizi, presentandoli come virtù, o affermare edonisticamente la felicità individuale come il metro di ogni azione.
E ancora. Sempre secondo Kant, la morale si codifica in alcune massime di carattere universale che elevano a legge l’esigenza di una legge. Queste formule, che ordinano un devi assoluto, un imperativo categorico, sono conosciute da tutti gli studenti liceali. Una di esse recita emblematicamente così:
Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.
(Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, cit.)
Il che vuol dire niente niente bunga bunga, niente assegnazioni di cariche pubbliche per favori sessuali, niente telefonate in questura alle due di mattina per far liberare una amichetta che potrebbe sputtanarti; niente di tutto ciò, ok? Se Ferrara volesse davvero rendere omaggio al filosofo di Königsberg dovrebbe andare dal presidente del consiglio, e invitarlo prima di tutto a sottoporsi al tribunale della ragione e poi ai magistrati che lo devono processare. Sarebbe una buona idea e un’azione splendidamente morale. Coraggio!
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