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Una testa ben fatta non basta

E’ questa ridondanza cognitiva che ci permette di non essere sorpresi da eventi totalmente inaspettati, ci permette di riconoscere le possibile retroazioni sistemiche delle nostre azioni e quindi di concepire schemi di azione più solidi, sostenibili ed efficaci. Educare alla complessità significa allenare questa capacità di generare molteplici alternative di mondo. E noi questo non lo stiamo facendo. Al contrario, insegniamo agli studenti che esiste una risposta giusta e tante risposte sbagliate. Li riempiamo di nozioni, alleniamo la loro memoria e, in definitiva li facciamo diventare selezionatori di crocette su un pezzo di carta. […] Edgar Morin ha sottolineato che “la nostra realtà non è altro che la nostra idea della realtà”. Se la nostra educazione ci porta a concepire la realtà come lineare, i problemi come complicati, e le risposte come “giuste e sbagliate”, certamente non preparerà i giovani a convivere con l’incertezza e a comprendere l’evoluzione e le dinamiche di un mondo globalizzato e interconnesso.

via Competere nella Complessità, di Alessandro Cravera

L’articolo di Alessandro Cravera, per il resto molto condivisibile, andrebbe corredato da una piccola nota a margine. Quell’addestramento alla risposta corretta non ha nulla di formativo nemmeno dal punto di vista etico. Non insegna la passione per il lavoro, il rispetto per gli altri, e il coraggio delle idee. Viene a mancare lo sviluppo intellettuale di una testa ben formata e allo stesso tempo la crescita umana di uno spirito forte. E allora, qui è davvero necessario arrestarsi. Di fronte alla deriva tecnico – burocratica in cui, ormai da anni, si sta trascinando la scuola pubblica è doveroso opporre un no sonoro e stentoreo, forti di una motivazione strettamente utilitaristica. Perché un sistema competitivo si costruisce solamente all’interno di un ambiente sano, che premia gli individui più affidabili ed onesti.

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Il futuro oggi

via manteblog

Lascia senza parole constatare come lo sviluppo tecnologico prenda strade imprevedibili e meravigliose. Sarà lo sguardo ingenuo dell’umanista, ma che Google arrivi nel giro di pochi anni a progettare un’auto senza guidatore, partendo da un motore di ricerca, è cosa davvero sbalorditiva. Ora, la domanda è: quanto sono controllabili gli effetti a lungo termine di un progetto, in un contesto in cui la linearità dei processi ha ceduto il passo ad una complessità crescente? Le opportunità emergono in maniera esponenziale all’aumentare del potere della tecnica. Per questo motivo, si dice che il battito d’ali di una farfalla diventa un uragano dall’altra parte del mondo. Stiamo vivendo l’anticipazione di un futuro straordinario e allo stesso tempo sconcertante, che pone la ragione di fronte ad interrogativi inauditi e per adesso senza risposta.

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Responsabilità e scelta

Politica ed economia sono divenute globali e fortemente interconnesse e appare sempre più difficile prevederne le evoluzioni. Miliardi di esseri viventi, enti ed organizzazioni interagiscono quotidianamente trasformando costantemente lo stato delle cose, senza che nessuno se ne possa attribuire il merito esclusivo. Nell’era della connessione i progetti a tavolino, le grandi pianificazioni e le utopie razionali stanno perdendo validità e significato. Tutto ciò che accade è frutto di infinite interazioni, molteplici concause e condizionamenti reciproci.

Di fronte a questa situazione vedo un forte pericolo: l’emergere della cultura dell’irresponsabilità, dell’impotenza del singolo e dell’autoassoluzione personale. Se il sistema non può essere previsto, pianificato e controllato perché tutto influenza tutto, allora ogni entità (individuo, organizzazione, governo) può vedersi come ininfluente, attore passivo di un gioco più grande di lui.

Questo atteggiamento di passiva rinuncia, oltre che pericoloso, è profondamente sbagliato. La complessità non porta all’impotenza e quindi all’irresponsabilità. Per il fatto stesso di assistere al verificarsi di un evento, si è (più o meno intensamente) coinvolti in esso. Nessuno ha quindi il diritto di tirarsi fuori da ciò che accade, di sentirsi ininfluente. Quando sentiamo persone, organizzazioni e governi che dicono “non dipende da me”, dimenticano di aggiungere alla loro affermazione un termine importantissimo: “interamente”. Ognuno di noi infatti, contribuisce al tutto,  oggi molto più di ieri.

via Alessandro Cravera

Misurare la complessità implica uno sforzo importante. Non necessariamente in termini di strategia o pianificazione delle azioni, ma come impegno e riflessione. Più i problemi sfuggono ad un orizzonte di senso deterministico e più la scelta assume un rilievo maggiore. Una scelta quasi di tipo esistenzialistico: partecipata, sofferta (perché scegliere implica sempre un rinunciare), e anche (perché no?) paradossale. Ecco, non  ci si può orientare in un mondo liquido attraverso un pensiero evanescente, che rinuncia a porre dei punti di riferimento
. I modelli non sono tramontati. E si sente sempre di più il bisogno di una morale della responsabilità, che superi sia l’astrattezza delle intenzioni che la cecità di un agire legato all’utile di corto respiro.

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M5S: questioni di leadership

Alcune preziose analisi di Alessandro Cravera sulle contraddizioni del M5S.

M5S: questione di leadership

Grillo e Casaleggio hanno finora certamente svolto un importante ruolo di leadership. Grazie al loro lavoro sul web sono riusciti a innescare un potente moto di adesioni dal basso che ha generato il successo elettorale di questi giorni. Finora il loro ruolo è stato prevalentemente (non in maniera assoluta e non so quanto consapevolmente) quello di generare un contesto auto-organizzativo in cui i cittadini potessero dialogare, confrontarsi tra loro e trovare uno spazio diretto di partecipazione alla vita politica e al rinnovamento della stessa. Non considerando alcuni diktat di Grillo nei confronti di alcuni esponenti del movimento, la loro è stata una leadership prevalentemente indiretta, tanto vero che nessuno dei due si è candidato direttamente in Parlamento. Un esempio di leadership quindi, per molti versi coerente con le dinamiche evolutive tipiche di un sistema complesso qual è la società.
Ora però, pare che la loro leadership stia cambiando forma tornando a modalità ben più tradizionali. Il loro ruolo non sembra più essere di innesco per l’emergere di una decisione condivisa. Le decisioni riguardanti il M5S le stanno prendendo direttamente i fondatori che, in questa fase politica, assomigliano più ai proprietari che agli ispiratori del movimento. Una situazione questa che, se confermata, evidenzierebbe una difficoltà a interpretare una visione diversa della leadership nel momento della presa di decisioni. Permane un concetto di leader come colui che decide direttamente e che possiede tutte le risposte, ben lontana dalla figura del leader che, attraverso la propria azione e le domande che pone mette in condizione gli altri di prendere la migliore decisione possibile.
Da un movimento politico che vuole cambiare radicalmente la vita politica italiana mi aspetterei un analogo cambiamento nella proprie logiche interne di governance. Cambiamento che finora si è visto solo a tratti.

(via Competere nella Complessità)

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