Abbiamo atteso le nomine dei ministri di governo con la trepidante speranza dei giocatori d’azzardo. Perché il miracolismo è un tratto di questo Paese, una tendenza dura a morire che rinfocola ad ogni sobbalzo della nostra modesta storia politica. Diffidenti nei confronti della scienza, incapaci di pensare il mondo a partire da solide basi razionali, noi italiani sprezziamo la cultura del progetto a vantaggio di un fatalismo magico e cinico. Confidiamo nella forza taumaturgica dei potenti, nel loro arbitrio, nel tozzo di pane fatto cadere dalla tavola del signore. Mescoliamo religione e superstizione in un tripudio barocco e delirante in cui ogni orientamento viene meno. Per dirla tutta, siamo uomini sopravvissuti alla fine delle idee. E il nostro ottuso entusiasmo è solo il riflesso superficiale di un nichilismo cupo, in cui solo gli individui sono degni di considerazione.
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La fine delle idee
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Tivoto!
Ci vado o non ci vado? Massì ci vado. Perché in fondo mi dispiacerebbe stare a casa, rinunciare, e darla per vinta all’indifferenza e alla noia. Voglio provarci ancora una volta. Illudermi che sia importante. Che qualche cosa possa cambiare.
No, non ci vado. Perché Cuperlo nemmeno a parlarne. Ha sul groppone la presenza appollaiata dell’eminenza baffuta. Odora di larghe intese come la chiesa di incenso. Può dire ciò che vuole (e non mi dispiace ascoltarlo: perché si presenta bene e denota una certa finezza di ragionamento) ma quella sensazione di déjà vu, quella nausea sartriana che ti prende di fronte a un mondo sempre uguale a se stesso; no, quella roba lì io non la sopporto più.
Vabbè ci vado. Perché credo in un grande partito di sinistra che rappresenta la parte migliore di questo Paese. E le primarie poi. Vuoi mettere rispetto a questa vergognosa legge elettorale. Ti senti protagonista anche tu. Una piccola, infinitesima parte, dell’ingranaggio democratico, ma pur sempre un cittadino, in scienza e coscienza. Che orgoglio!
Non ci vado. No, non posso andare perché Renzi, no dico, Renzi! Un nibelungo sedotto dal potere. “Il mio tessoro!!” Un uomo debole, dai valori negoziabili, malato di narcisismo. È quanto di peggio io possa immaginare nel panorama politico italiano! Be’ no, a dire il vero qualcosa di peggio c’è. Il marchese De Sade, per esempio; il cavaliere decaduto. E poi il becero razzismo della Lega. Il populismo armato di improperi di Grillo. Sì c’è molto di peggio. Anche se diventare renziani è un po’ come per Brancaleone scampare al rogo dei cristiani per finire impalato dai turchi.
E allora ci vado. Anzi, civado. E tivoto. Non perché senta il bisogno del salvatore della Patria. Non me ne frega niente. Tivoto perché rappresenti l’idea di una sinistra che non ha paura di chiamarsi tale. Tivoto perché perderai ma serve anche la testimonianza di chi non si arrende alle parole d’ordine di una politica irregimentata e conformista. Tivoto perché credo in una società più giusta, in un’economia fatta per le persone e non viceversa, e perché passano gli uomini ma le idee resistono.
Fai a modo, caro Civati, perché hai nelle mani la responsabilità di tanti che come me ancora ci credono. Una sola cosa però. La politica è l’arte del compromesso, va bene. Ma chi ha letto Machiavelli (e tu l’hai fatto) sa bene che differenza passi tra un uomo tragico e quei cortigiani che hanno insozzato il parlamento e tutte le nostre istituzioni. E allora, se non c’è nulla da fare, accetta questo consiglio: vieni via o punta tutto. Lascia stare o vai fino in fondo. Il momento è grave. E come insegna John Belushi: “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. Ma un duro, uno con la schiena diritta, accetta anche il rischio di spezzarsi e di perdersi per sempre. Si chiama responsabilità ed è la stoffa di cui dovrebbero essere fatti i veri leader. “Potrebbe essere la nostra notte più grande. Non lasciamo che sia la più stronza.” In bocca al lupo!
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Ma tu sei renziano o civatiano?
Ieri pomeriggio stavo prendendo un caffè con un amico, quando questo mi trafigge con una domanda a bruciapelo.
– Ma tu sei renziano o civatiano?
Me ne resto lì un po’ perplesso. Sono tentato di accettare le regole del gioco a cui quella interrogativa allude implicitamente, lo sport del fare i tifosi, che fa tanto cultura middlebrow, e rispondere convinto: “Cavolo, civatiano!”; ma mi fermo all’ultimo istante. E così decido di evitare la provocazione e aggirare l’ostacolo con circospezione, come una volpe dalla consumata esperienza dialettica.
– Non si tratta di essere a favore di uno o dell’altro. Il punto sono le idee. Piuttosto proverei a ribaltare la tua domanda chiedendoti che progetto hai in testa per il Paese; quali sono i tuoi valori, le cose in cui credi e per le quali pensi che si possa condurre una battaglia politica. Non ho paura a definirmi radicale. Anche perché, dall’altra parte, i cosiddetti moderati sono i veri eversivi del sistema, pervertitori del linguaggio, estremisti dei fatti e della parola. Altro che partito dell’amore. C’è un odio di classe alla rovescia, dall’alto verso il basso, che non ha precedenti. La difesa degli interessi dei più forti, dei più ricchi, dei più arroganti, ha raggiunto un simile livello di insopportabilità che tutto questo deve finire. Serve una vera alternativa: egualitaria, laica, rispettosa delle regole. Un sana cultura della cooperazione che tuteli i più deboli, che conservi il paesaggio, che educhi le persone a recuperare il perduto rispetto per la cosa pubblica. Per concludere, non sono né civatiano né renziano. Sono di sinistra e per questo motivo, in subordine, mi piace Civati che dice cose vicine alla mia identità politica.
– Tutto molto bello. Ma alla fine bisogna vincere.
– Permettimi di decostruire la tua affermazione. Dici che bisogna vincere alludendo al fatto che Renzi è vincente e Civati no. Forse perché Renzi potrebbe intercettare l’elettorato di centro. Dietro a questo giudizio, però, io intravedo un pregiudizio: ovvero che non è possibile vincere le elezioni a sinistra. E allora, secondo te, meglio rincorrere i cosiddetti moderati (di cui sopra) che nel frattempo, vedi ultime elezioni, sono scomparsi. Dei berlusconiani poi non mi occupo. Nel senso che il problema non è tanto il leader che li determina, ma il loro modo di sentire e di intendere la politica. Berlusconi è finito, ma il Berlusconi in me, per dirla con Gaber, continua a vivere. Lo sostituiranno con qualcun altro, Renzi o non Renzi. Da questo punto di vista serviranno anni per recuperarli davvero, non una semplice strategia elettorale. La tua premura di apparire presentabile, permettimi, è un po’ provinciale. E per certi aspetti fa molto dirigenza PCI. Nel senso che, correggimi se sbaglio, da Togliatti in avanti il partito comunista ha sempre cercato di legittimarsi democraticamente, nel solco della Costituzione prima, attraverso una politica sempre rivolta al centro poi. In una parola, dimostrando responsabilità. Oggi quella responsabilità, che Napolitano incarna perfettamente, fuori dal sistema bipolare, senza più l’URSS, si è risolta in inciucio permanente. Andare al centro oggi significa proprio questo: inciucio, o politica di sottobanco. Mancanza di coraggio, altro che vincere.
– Solo tu riesci a trasformare una chiacchiera da bar in una pesantissima presa di posizione. Non cazzeggi mai?
– No, mai. Sono fatto così. E questa cosa mi è davvero insopportabile…
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First il lavoro… stiamo fresh!
Mentre attendiamo trepidanti a Festareggio l’arrivo di Matteo Renzi anche gli slogan ci sembrano tanto happy days!
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