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La forza della rinuncia

Il giunco cede alla forza degli elementi, si abbandona alle circostanze, ma che ne resta dei suoi sogni? Giunco che speravi, tremavi, trepidavi, dove è andata a morire la tua essenza? Il rovescio di una pronunciata, ben manifesta, e anche compiaciuta facoltà adattiva, sono l’indifferenza per il vero e la trascuratezza dei valori. C’è un punto limite, l’epifania di una consapevolezza più alta, oltre la quale chi procede trasforma irrimediabilmente la forma plastica del proprio agire in arrendevolezza. Orbene, di fronte al limitare di questo confine solo alcuni hanno saputo indietreggiare.

Essi si curano dell’unico coraggio per cui valga la pena spendere una vita intera: quello delle idee. Non si abbandonano alle esortazioni, alle idealità astratte. Ossia il dovere per il dovere, o peggio la benevolenza universale, che è solo un’ipocrita falsificazione della fratellanza costruita sulla ragione. Non correggono l’angoscia della scelta con le parole vuote di una retorica infantile. Piuttosto contano i passi della loro giornata, ripercorrono le orme alla ricerca di un segno di smarrimento. Traducono concretamente le idee in comportamenti. E così realizzano un percorso attraverso la rinuncia. A cosa? Alle navigazioni di piccolo cabotaggio, all’amministrazione del quotidiano, agli apparentamenti strumentali.

La vita autentica nasce lì, in quell’esperienza meravigliosa che si chiama progetto, perché esso è il cuore dell’uomo che trasforma l’erranza in viaggio, l’immensità del mare in una rotta. È dovere e diritto nello stesso tempo, impegno e speranza ben riposti. Perseverare nella fedeltà a se stessi è una moneta che paga sul lungo periodo, come direbbe Hegel in catene o sul trono. Ma coloro che hanno scelto la coerenza, andrebbero trattati come tesori della comunità. Esempi di valore da imitare. Quando tutto sembrerà perduto, a loro affideremo il nostro destino. E l’abnegazione, per una segreta intelligenza che abita il mondo, avrà improvvisamente il sopravvento sul meschino opportunismo. La solidarietà diventerà una risorsa indispensabile, l’onestà un bene prezioso. Ognuno farà la propria parte per opporre l’essere al nulla, la vita alla morte.

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Escher

Uno dei concetti che gli studenti di filosofia comprendono con maggiore difficoltà è quello di risoluzione del finito nell’infinito. Una rappresentazione intuitiva di questo principio la si può trovare nel lavoro di Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972), un incisore e matematico olandese. Il vedere può aiutare il capire, così come il mito in Platone spiega la filosofia? Può essere ma anche no. Di certo soggiornare nella casa della bellezza, confrontarsi con l’arte come in questo caso, è un’abitudine così in disuso che va certamente stimolata, se vogliamo conservare almeno la speranza di salvare il nostro povero mondo.

Verbum

Verbum

La prima opera che propongo (Verbum) è interessante per la sua labirintica complessità. Non solo al di sotto della percezione categoriale del disegno (rane, uccelli, e pesci) è possibile cogliere un’unità di fondo, ma se osserviamo dinamicamente il quadro (in senso orario e antiorario) si può notare come ogni figura trasmuti in quella successiva, attraverso una trasformazione che ricorda la tecnica della dissolvenza incrociata usata nel cinema, mentre tutte quante derivano per emanazione dall’esagono luminoso centrale (il quale a sua volta richiama l’esagono più grande che contiene l’insieme di tutte le determinazioni). La relazione con la filosofia è evidente. Basti pensare a Spinoza e al rapporto tra sostanza, attributi e modi. I modi, secondo il filosofo, non sono altro che manifestazioni necessarie o contingenti degli attributi della sostanza. In questo senso, il molteplice e l’unità vengono a coincidere nell’ordine geometrico del mondo. “Tutto è” secondo una regola che non lascia spazio alla libertà o al finalismo della natura. Rane, pesci, uccelli, in Escher, idee, persone, azioni in Spinoza. Ciò che appare diviso è in realtà una sola cosa.

Il Limite del Cerchio

Il Limite del Cerchio

I temi de Il Limite del Cerchio invece sono due (o tre, o infiniti… fate voi!). In primo luogo il rapporto positivo – negativo (il demone è l’ombra dell’angelo e viceversa, ed entrambi si possono intendere come porzioni di un’unica figura più grande che ricorre più volte dal centro sino alla circonferenza, rimpicciolendosi mano a mano) che richiama fortemente la dialettica hegeliana. Ogni dire, infatti, è sempre un contraddire (angelo e demone, luce e ombra), che tradotto in termini logici diventa: se A = A allora A = non B. La definizione dell’identico passa attraverso il disegno del differente.

Il dire è sempre un contraddire. Se dico la cosa la contrappongo – “astraggo”, individuo, separo – da ciò che essa non è – dall’Altro. Ma nel dire la contraddizione, questa è tolta: il dire sa di dire sé e l’altro-da-sé, dunque tornando in sé – riflettendo – ristabilisce l’identità. Il movimento è: dire – contraddire – ridire.

In secondo luogo, da questo rimpicciolirsi graduale e coerente (che, detto per inciso, mi fa scorgere una sfera vista dall’alto al posto del cerchio e che svela come ciò che appare rettilineo possa essere in realtà curvo) discendono alcune conseguenze “sconcertanti” che riguardano la percezione geometrica dello spazio. Il percorso dal centro alla periferia è finito e infinito nello stesso tempo (ricordate i paradossi di Zenone di Elea?). Finito dal punto di vista della totalità del sistema, infinito per chi all’interno volesse percorrere tutti i punti del raggio. Ipotizzate di essere dentro il cerchio con un regolo in mano. Camminando verso la periferia rimpicciolireste senza accorgervene, col risultato di avvicinarvi indefinitamente senza mai raggiungere la circonferenza. Non solo. Posti due punti A e B sulla circonferenza la distanza più breve tra essi non sarà la corda rettilinea ma un arco convesso verso il centro. Il disegno è evidentemente ispirato al lavoro di Henri Poincaré, un matematico francese che ha proposto questo modello di geometria iperbolica meglio noto come disco di Poincaré. Dal punto di vista filosofico quel che ci interessa rilevare è che la nostra percezione dello spazio appare semplice ma è sostanzialmente complessa. Il finito è tale ma solo all’interno di un sistema di riferimento. Cambiando il sistema cambia anche la natura dell’ente (il raggio da segmento diventa una semiretta).

Salita e Discesa

Salita e Discesa

Termino questo breve divertimento su Escher e il tema della partecipazione del finito nell’infinito con “Salita e Discesa”. Le scale che i monaci percorrono sono in salita o in discesa? Mah, evidentemente questo anello è uno Strano Anello.

Una e la stessa è la via all’insù e la via all’ingiù

No, non è un koan zen ma un aforisma di Eraclito. Dove sembra esservi il doppio si nasconde l’unità. Un’unità che va dis – velata e che è il recondito significato del mondo a cui solo chi è filosofo può accedere.

Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è Uno

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Laboratorio di Filosofia

Un piccolo laboratorio formativo di filosofia, della durata di un’ora circa, da svolgersi in gruppi di 2/3 studenti. Gli obiettivi sono il ripasso dei contenuti già spiegati frontalmente e il confronto tra filosofi diversi.

Se ti è piaciuto questo post condividilo, ricordandoti di citare l’autore e la provenienza.

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