L’uso astuto e disonesto della lingua è il primo atto di ogni guerra. Dunque Berlusconi, che ha commesso il delitto, chiama “pacificazione” l’abolizione del castigo che è la guerra del delitto al diritto, l’esatto contrario della pace. E il voto del Parlamento, che è la massima espressione civile della democrazia, per Cicchitto è un “tribunale speciale” che, secondo Quagliarello, si trasforma esso stesso in “plotone di esecuzione”.
Attenzione, però, questa non è una guerra di parole ma sono parole di guerra. Non è la dialettica dei retori, non è l’eloquenza della difesa di Coppi contro i rigori dell’accusa del sostituto procuratore generale Antonio Mura, non sono le parole di Ghedini contro le parole della Boccassini, non è nemmeno la sapienza linguistica degli esperti in cavilli e in sfumature, ma è un’apertura di ostilità che fa saltare l’intero codice, è quell’offesa allo Stato che, lanciata da un ex premier, in altri tempi si sarebbe chiamata alto tradimento.