Che cos’è la verità?

Roberto Brigati

Nel giugno del 2011, al Sant’Orsola di Bologna, vennero alla luce due gemelline siamesi unite per il torace e con il cuore e il fegato in comune. Le drammatiche condizioni di salute delle bambine, e la necessità di un intervento chirurgico per garantire la sopravvivenza di almeno una delle due sorelle, trasformarono da subito questo complesso caso medico in una questione etica. Nel dibattito furono coinvolti i genitori, i medici, anche comitati di bioetica e autorità religiose e, di riflesso, l’opinione pubblica. A favore dell’intervento si schierarono alcuni ecclesiastici come monsignor Rino Fisichella

Si deve prendere in considerazione il fatto che ambedue le gemelle potrebbero morire per la situazione precaria in cui si trovano. In questo caso il tentativo medico di intervento per salvare almeno una vita sarebbe lecito

e il cardinal Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna

Nel caso estremo e drammatico di pericolo di vita per entrambe, se non ci saranno alternative possibili sarà sostenibile l’intervento di separazione, perché questo avrà il solo scopo di salvaguardare la vita di una gemella

Anche il filosofo Roberto Brigati, in un’intervista a Repubblica, diede il suo contributo mettendo in rilievo l’inadeguatezza di ogni strumento prescrittivo nel discriminare questioni così speciali.

Questo è un caso che mi conferma una convinzione, che sta prendendo piede nella filosofia di oggi, e cioè che un approccio puramente normativo all’etica non è sufficiente, non arriva neanche vicino ai problemi reali e ai casi concreti. Non si tratta di dare regole universalistiche, né di impartire lezioni più o meno autorevoli: si tratta di occuparsi delle persone, di aiutarle e di fare il possibile per renderle autonome.

Purtroppo, il rapido peggioramento del quadro clinico rese l’operazione chirurgica del tutto vana. A poco più di due mesi dal parto, le bambine morirono, lasciando nel dolore i loro genitori e in un’indefinita astrazione il dibattito che su quella vicenda era nato.

Resta oggi l’eco di quelle questioni di fondo, che riguardano l’autonomia degli individui, il ruolo della scienza nel chiarire il processo decisionale, il peso delle religione nell’orientare le nostre scelte. È per questo che vorrei postare l’intervista di Roberto Brigati per intero. Perché in quelle poche righe sono condensati problemi enormi, che riguardano la nostra specificità esistenziale.

La libertà è un postulato della vita etica. E questa libertà va coltivata e difesa ma soprattutto non appaltata. La scelta, per essere veramente tale, non può essere la deterministica applicazione di una serie di norme. Essa prende forma nella solitudine della coscienza e deve rispondere esclusivamente alla legge morale che ogni individuo, in quanto essere razionale, porta dentro di sé.

“Non servono lezioni, non tengono le regole, che alla fine sono prevaricazioni, occorre stare vicino a questi genitori, sono state le mie studentesse a insegnarmelo”. Roberto Brigati insegna filosofia morale all’Alma Mater. Laico, 50 anni e una vicenda umana (sangue infetto trasfuso che lo ha condannato a una malattia dolorosa) che lo coinvolge più intensamente sui temi di bioetica affrontati per mestiere. E il caso delle gemelline siamesi lo ha particolarmente colpito: “Se sopravviveranno, anche solo una, non potranno correre come gli altri bambini. Anche io vivo con tante limitazioni, ma vivo”.

Professore, di fronte a questo drammatico caso quale può essere il parere di un filosofo laico?
“Questo è un caso che mi conferma una convinzione, che sta prendendo piede nella filosofia di oggi, e cioè che un approccio puramente normativo all’etica non è sufficiente, non arriva neanche vicino ai problemi reali e ai casi concreti. Non si tratta di dare regole universalistiche, né di impartire lezioni più o meno autorevoli: si tratta di occuparsi delle persone, di aiutarle e di fare il possibile per renderle autonome. Questa è un’idea che percorre oggi il pensiero femminile: la morale, la moralità, è qualcosa che non può far a meno della relazione, del prendersi cura, dello sguardo sul particolare”.

I genitori, saputo delle condizioni delle gemelle in gravidanza, hanno scelto di dare la vita, aiutati dalla fede. Ora, è la scienza ad essere interpellata. I cattolici dicono: lasciate fare alla natura. I medici hanno chiesto un parere ai giudici. Chi ha l’ultima parola?
“I genitori, solo loro possono decidere. Ovviamente informati dai medici. In questo senso sono contento che in un momento pur così infelice ci sia stato un buon dialogo tra genitori, medici, comitati etici, persino autorità religiose. Chi si scandalizzerebbe se una coppia ebrea chiedesse un parere al rabbino o una musulmana al mufti? L’essenziale è che si parli per aiutare e non per prevaricare, che si faccia di tutto per favorire una decisione libera e matura, non per decidere al-posto-di”.

Così il peso grava tutto sui genitori.
“Noi bioeticisti o giuristi o preti domani penseremo ad altro, ma loro saranno ancora lì, dovranno affrontare i momenti più difficili. Se almeno una bimba sopravvive, e me lo auguro, chi le racconterà che lei vive grazie alla morte di una sorella un po’ speciale che era un po’ anche una parte di lei?”.

La scienza perde la parola di fronte a questi casi?
“In queste decisioni etiche profonde non è che io o il medico o il giurista o il prete sappiamo qualcosa che i genitori non sanno. Ci possono essere dei fatti tecnici che la scienza ha il dovere di far presente, cioè la decisione deve appoggiarsi sulle migliori conoscenze che sono a disposizione; ma alla fine nemmeno la scienza può sostituirsi alla persona”.

Via La Repubblica

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