Funerali (residuo di memoria n.2)

Carmelo una volta mi mostrò una foto ingiallita che ritraeva alcuni violinisti mentre suonavano a un funerale. Avevano il cappello in testa e camminavano lungo una strada tra le pozzanghere. Mi disse che erano ex braccianti socialisti di Santa Vittoria, e che grazie alla musica si erano guadagnati un avvenire migliore. Avevano suonato e lottato a tempo di valzer, e per quasi cent’anni il loro paese era stato il centro culturale più importante di un intero mondo contadino. Mi sembrava davvero una bella storia

“Ma la cosa veramente strana la sai qual è? È che ai funerali e alle feste da ballo i braccianti suonavano più o meno gli stessi pezzi. Questo significa che consideravano la vita e la morte non solo sullo stesso piano estetico ma anche ontologico. La generazione dalla carne, consumata in mezzo all’erba di un campo, e la corruzione della carne nel cuore della tenebra. L’essere e il nulla. I braccianti questo lo avevano intuito da sempre, come i filosofi greci; anzi, prima dei filosofi greci.”

Eravamo seduti a un bar del centro, davanti a una birra, e io non sapevo più cosa dire. Mentre continuava a parlare, ricordai improvvisamente che qualche anno prima, durante un pomeriggio d’estate, mi aveva chiamato una signora per andare a suonare a un funerale. Io abitavo ancora con i miei genitori nella casa vecchia, a Poviglio, in un condominio di soli sei piani da tutti in paese conosciuto come il grattacielo.

– Dove sarebbe questo funerale signora?

– A Luzzara, è morta mia madre che aveva più di novant’anni.

– Condoglianze.

– Lei amava molto i violini, potrebbe suonare in chiesa?

– Sì signora.

– È potrebbe suonare anche durante il corteo?

– Ah, credo di no, signora, non si può nemmeno suonare e camminare nello stesso tempo.

– Va bene lo stesso.

In realtà, l’idea di suonare per le strade mi aveva infastidito; io, che avevo studiato in conservatorio, a Parma, la trovavo una cosa davvero disdicevole. Eppure di fronte alla passione di Carmelo cominciavo ad avvertire il peso della colpa. Sebbene sino a quel momento non avessi mai sentito parlare dei violinisti braccianti, delle feste da ballo e delle musiche buone anche per i funerali, provai vergogna per la mia tracotanza. Assaporai l’amaro deisiderio di riavvolgere il filo del tempo per poter riparare a quell’errore. Va bene signora, adesso ho capito; lo faccio, suonare e camminare nello stesso tempo, lo faccio. Volevo tornare indietro, ma mi rimaneva soltanto il magone.

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