Ha ragione Eugenio Scalfari: un italiano su tre cova un profondo disprezzo nei confronti dello stato. È lo zoccolo duro del berlusconismo, il dato più avvilente di questa ultima tornata elettorale. Forse per comprendere il fenomeno giova recuperare la categoria di “familismo amorale“, coniata da Edward Banfield nel lontano 1958. Un paradigma nato per descrivere l’arretratezza economica e sociale del sud Italia e che oggi potrebbe essere esteso ad una buona parte del Paese. Uso privato della res publica, diffidenza verso chiunque propugni la difesa dell’interesse comune, massimizzazione dei vantaggi materiali nel breve periodo, sudditanza nei confronti del potere.
Mi duole ammetterlo ma questi mancati cittadini, minorenni civili che si affidano nonostante tutto all’irrazionalismo salvifico dei loro leader, sono anche colpa nostra. In particolare del nostro sistema educativo che negli ultimi cinquant’anni non è stato capace di realizzare il proprio fine ultimo, ovvero formare ai valori della Costituzione e della Repubblica. O li prendi da piccoli o non c’è speranza e te li tieni. Una volta andato in pensione il pifferaio di Hamelin ci ritroveremo a fare i conti con gli italiani, con il Berlusconi in me per dirla con Gaber. E contro questa sciagura non c’è Renzi che tenga, non c’è vittoria elettorale che possa cambiare le cose. È per questo motivo che la scuola è un bene così importante su cui investire in una prospettiva di lunghissimo periodo. Allo stesso modo è proprio a causa della sua funzione strategica di potenziale polo di sviluppo del pensiero critico che qualcuno la vorrebbe umiliata e in rovina.