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Classi 2.0

Hanno avuto paura di «andare a sbattere», come quando si guida la macchina senza patente. Così, alla proposta di trasformarsi in «Cl@sse 2.0» – tutta tablet e tecnologia – la IB dell’elementare Iqbal Masih di Roma, ha detto no. «No» per le modalità («una decisione comunicata dalla scuola a inizio anno, senza che i genitori venissero prima informati e consultati», spiega Mauro Giordani, un papà che guida il gruppo di «dissidenti» tecnologici). Ma no, soprattutto, «per un progetto i cui effetti non sono noti né a noi, né alle insegnanti, né al ministero proponente». Troppa didattica digitale, sono convinti i genitori, può essere dannosa. Lo hanno messo per iscritto, illustrando i loro timori con citazioni di articoli, studi autorevoli e testimonianze di studenti e insegnanti che mettono in luce i rischi: dispersività, dilatazione dei tempi di lavoro, perdita di attenzione e di parte dei contenuti didattici.

via Antonella De Gregorio, Corriere della Sera

Alcuni principi, generalissimi e prudenziali, rispetto all’uso della tecnologia a scuola mi sento di poterli dare anche io. Niente di particolarmente originale. Solo il frutto di una ormai lunga riflessione dentro l’equipe di Lepida Scuola.

1. La tecnologia non è un feticcio. Non basta studiare con tablet e LIM per gettare i ragazzi nella modernità e mettere la scuola al passo con i tempi.

2. Il vero cambiamento è solo pedagogico. Serve una trasformazione della didattica che aiuti i ragazzi a misurarsi con problemi complessi. Laboratori, progetti, cooperative learning, sono buone pratiche che vanno nella giusta direzione.

3. Evitare iconoclastie e fanatismi. Trasformazioni lente e soprattutto intelligenti producono effetti duraturi. Non cestinate manuali e le care vecchie lezioni frontali; ve ne pentirete.

4. Andare in profondità. Usare la tecnologia a scuola, in un ambiente protetto e educato, può essere un buon esercizio per capire che la bellezza dell’informatica non sta solamente nella possibilità di creare connessioni infinite; e che la velocità non è un valore in sé, con buona pace di Alessandro Baricco.

5. Lavorare costa fatica. Ci sono 100 modi di fare bene le cose, uno solo è quello giusto. Tu, professore, che esci in cortile a fumare la sigarettina perché tanto stanno facendo lavoro di gruppo, sei in malafede. La complessità richiede cura maniacale. Se vuoi faticare meno scegli  la vecchia spiegazione. Sarai meno cool (capitano, mio capitano!) ma molto più onesto, con te stesso e con i tuoi studenti.

6. Imparare la creatività. La tecnologia può aiutare a far emergere intelligenze che nella didattica tradizionale restano silenti, e frustrate. Valorizzare il pensiero divergente è un obiettivo educativo e democratico insieme.

7. Amare il proprio lavoro. Alla fine la passione viene prima di tutto. Perché resta e aderisce più in profondità dei contenuti, e delle scelte didattiche. Questo loro lo sanno sin dal principio; da quando ti vedono per la prima volta, dal modo con cui apri il registro, dalla tuo essere tutt’uno con ciò che dici.

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