Conservo l’idea che un artista sia soprattutto oggetto e non soggetto della propria forza creativa e che quindi non possa in alcun modo pianificare il proprio futuro lavorativo. E allora, come si può annunciare urbi et orbi la fine di una carriera musicale o letteraria? Non è che in questa ostentazione si nasconda una pochezza di spessore “spirituale” o, detta più laicamente, una sorprendente mancanza di buon gusto?

Francesco Guccini