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La linea della palma

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Durante una famosa intervista rilasciata a Giampaolo Pansa nel 1970, Leonardo Sciascia vaticinò un’infausta previsione. Disse che la mentalità mafiosa avrebbe risalito la penisola, come la linea della palma, alla ricerca di nuovi territori fertili su cui mettere radici, sino ad attecchire in regioni lontanissime dalla Sicilia. Bene, oggi 2012 quella desertificazione dello spazio civico pare essersi compiuta del tutto. Nel profondo Nord, nella cosiddetta capitale morale del Paese, la ‘ndrangheta vive e prolifica all’ombra del Pirellone e con la collusione della buona borghesia imprenditoriale. Fa affari, corrompe, occupa il territorio; lavora per investire sul proprio capitale sociale. E di fronte a questo scempio la prosopopea leghista diventa ancora più insopportabile. La retorica moraleggiante con cui si insiste tutt’oggi nel rappresentare una differenza antropologica tra il grigio brianzolo e il rusticano siculo – calabrese ha più a che fare con la psichiatria clinica che con la politica. Da Nord a Sud, da Milano a Palermo, l’Italietta si mostra sempre con i medesimi tic, con le stesse ambizioni, con lo stesso sprezzo della legge e dello Stato. È una guerra di tutti contro tutti, senza mediazioni e frontiere, che investe ogni propaggine della società. Serve urgentemente una rivoluzione culturale, un cambiamento radicale di paradigma che ci renda finalmente “normali”. Prima che sia troppo tardi…

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Fronte della cultura

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23/09/2012 · 14:36

Belinate

 

Il mondo moderno ha imparato la lezione dagli antichi Romani. Le Olimpiadi sono una versione smisurata del Colosseo con circences che occupano tutti gli spazi dell’informazione. Un bromuro quotidiano sponsorizzato dalle multinazionali. […] Atleti che sfilano prima delle gare con tricipiti e pettorali in mostra insieme agli slip griffati. Grida e pianti, buttati per terra, tarantolati per una stoccata o per un tiro, come se fosse morto o resuscitato cento volte il gatto di famiglia.

Beppe Grillo sul suo blog ha consigliato un libro di Antonella Stelitano sul ruolo che svolge il CIO nelle relazioni politiche internazionali. Fin qui niente di male. Il fatto è che l’ex comico genovese ha colto l’occasione per dar sfogo al solito delirio organizzato, che ha avuto per oggetto oltre alle olimpiadi il Presidente della Repubblica, le multinazionali, il nazionalismo, sportivi e spettatori. Insomma, tutto il carrozzone con i suoi valori ipocriti.

Può essere che Grillo abbia anche ragione, del resto non è una novità l’uso che la politica fa e ha fatto dello sport (basti pensare ai totalitarismi del Novecento, o alla guerra fredda). Ed è anche vero che l’attenzione dei telespettatori (tra i quali c’è pure il sottoscritto) per gli sport minori è spesso estemporanea ed effimera. Però, a mio modesto avviso, gettare il CIO e gli atleti in un unico calderone è una grande belinata!

E non parlo solamente di quei pochi medagliati, ai quali verranno corrisposti premi in denaro che possono anche essere considerati eccessivi. Mi riferisco soprattutto a chi ha perso, a chi ha partecipato senza nemmeno sfiorarlo il successo. Uomini e donne che lavorano nel silenzio dei mezzi di informazione, mossi esclusivamente da una passione sincera. Parlo di persone come la maratoneta Anna Incerti, già medaglia d’oro agli europei del 2010 (medaglia assegnata d’ufficio a causa della squalifica per doping delle due atlete che l’avevano preceduta), che ieri ha finito la sua gara al trentesimo posto. Con gli occhi arrossati dalle lacrime, i singhiozzi trattenuti a stento, con quel suo bel volto meridionale segnato dallo sfinimento, ha voluto ricordare i suoi supporter: concittadini, amici, il suo allenatore, ma soprattutto il marito, il quale per aiutarla si è preso anche un anno di aspettativa dal lavoro. Un anno di aspettativa dal lavoro?

Se servisse una rappresentazione dello spirito olimpico, questa sarebbe la migliore. Sportivi normali, oppressi dalle fatiche del quotidiano, che sacrificano la loro vita per un’ambizione, fosse anche la gloria, ma che non mercificano le loro emozioni. E che stridore con gli scenari avvilenti del mondo del calcio. Con le vite dorate è cafone di “tossicodipendenti” pronti a tutto per ottenere quella dose di denaro necessaria a garantirsi la soubrette, l’auto lussuosa, le vacanze a Formentera o in Costa Smeralda.

Se questo Paese ha ancora una speranza è da qui che deve ripartire: da Anna Incerti e suo marito e da tutti coloro i quali alla mattina si alzano con l’unico scopo di amare ciò che fanno. Come direbbe Totò: a prescindere… Sono in tanti, sono coraggiosi e, spesso, hanno qualità ideali e morali. Non lasciamoli soli…

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Se questo è un giornalista

 

L’articolo di Sallusti in risposta al commento di Jan Fleschhauer dello Spiegel sulla natura dei popoli è una scemenza; e per di più di cattivo gusto, visto che è uscito proprio nel Giorno della Memoria. È un luogo comune pensare che gli italiani siano un popolo di brava gente; esseri umani pasticcioni e codardi ma dal cuore generoso. In fondo, l’alleanza con i nazisti è durata fino a quando serviva, le leggi razziali sono una testimonianza di barbarie, la colonizzazione pure. Si potrebbe continuare a disquisire ma resta il dubbio che il problema non stia nel giudizio storico ma altrove. Non credo che a Sallusti interessi capire, ma restituire pan per focaccia, per questioni inerenti e strumentali alla difesa del suo capo silurato dalla Merkel, anzi dalla culona inchiavabile (il complotto pluto – demo – giudaico – massonico??). Mi fa orrore questa ostentazione compiaciuta di argomentazioni superficiali, ideologiche, che danno la stura alle forme più becere di razzismo. Si poteva replicare denunciando la povertà intellettuale, il pregiudizio culturale del giornalista tedesco. Soprattutto si dovevano scrivere parole democratiche senza sfruttare per fini di bottega l’orrore della Shoah. Se Fleischauer è un brigante adesso Sallusti è un brigante e mezzo…

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Moderati III

E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?”.

Ed elli a me: “Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.

E io: “Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?”.
Rispuose: “Dicerolti molto breve.

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Inferno, Canto III

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