Una docente del liceo Parini di Milano chiede di essere trasferita a causa delle pressioni di studenti e genitori che ne denunciano l’incompetenza e l’eccessivo rigore (leggi qui). Questa è la notizia, che in sé non ha nulla di clamoroso, poiché di casi del genere è piena la storia di ogni singola scuola, di città o di provincia. A chi dare ragione? Alla docente, che vanta trent’anni di “onorato servizio” e che mai prima d’ora aveva avuto problemi di questa natura, o agli studenti di uno dei più importanti licei della città, umiliati da continue ed ingiustificate “prese in giro” e da una didattica di scarsa qualità – “la prof. non sa insegnare” – ?
Naturalmente per dare risposte bisognerebbe avere vissuto la vicenda, se non come protagonisti almeno nelle vesti di testimoni diretti. A me, in realtà, non importa un granché sapere come siano distribuiti gli eventuali concorsi di colpa. Molto più interessante è riflettere sul dibattito che si è venuto a creare, incentrato su due grandi temi: il nuovo ruolo di “sindacalisti dei figli” assunto da molti genitori, e quello riguardante la necessità di aumentare il rigore dell’insegnamento.
Punto primo. Ogni insegnante sa che l’ingerenza nelle questioni didattiche da parte dei genitori è cresciuta moltissimo negli ultimi anni. Nelle sale professori si danno spiegazioni diverse: c’è chi parla di accresciuta competenza culturale (il papà ingegnere che insegna l’insiemistica al docente di matematica, la mamma responsabile estero che consiglia alla prof. di inglese di indugiare meno sulla grammatica ecc.), chi sostiene che padri e madri non sappiano più assumersi responsabilità educative; c’è poi il solito comunista che la butta sul sociale: come possiamo essere rispettati quando guadagniamo 1300 euro al mese? Tre suggestioni effettivamente condivisibili, che hanno il merito di sottolineare la progressiva perdita di autorità della scuola nel suo complesso. Qualcuno dirà che un conto è l’autorità, sempre repressiva e conferita da altri, e un conto l’autorevolezza, personale e conquistata con il merito. E’ vero. Ma è anche vero che i doveri sono una componente essenziale del rapporto docente/studente, e i doveri non si discutono, si applicano. Una scuola sciolta completamente dalla logica del dovere diventa un servizio, di cui posso o non usufruire. Ma andare a scuola è (appunto) un dovere, perché lì e solamente lì si impara ad essere cittadini responsabili.
Punto secondo. Il problema del dovere si lega a quello del rigore. I genitori amici dei figli reclamano per i propri rampolli un insegnamento rigoroso, che premi il merito e raddrizzi la schiena. E’ un vento di controriforma che soffia un po’ ovunque, alimentato tanto dal ministero quanto da illustri intellettuali che trovano ampio spazio sui principali mezzi di comunicazione. A questo riguardo mi sento di dire una cosa netta: il rigore è una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire l’efficacia didattica. Il rigore fine a se stesso produce esseri umani ben educati, obbedienti, pronti ad essere inseriti nei meccanismi rigidi di una società semplice. A parer mio si tratta di una scuola di retroguardia, funzionale ad un sistema che ha chiuso ogni possibilità di emancipazione attraverso lo studio e la cultura.
E allora? Allora è evidente che abbiamo bisogno di altro, e che dietro al pettegolezzo si nasconde un vuoto, anzi, una sovrapposizione di vuoti. Il vuoto lasciato dai tagli indiscriminati e lineari, il vuoto rispetto alla formazione e alla valutazione dei docenti, il vuoto nei confronti delle sfide culturali e sociali che siamo chiamati a raccogliere. Non la voglio buttare troppo in retorica, ma chi parla di società liquida, policentrica, postmoderna, pone un problema cruciale con il quale dobbiamo confrontarci, volenti o nolenti. I nostri studenti svolgeranno in futuro mestieri che adesso non esistono ancora, costruiranno interazioni sociali duttili, si confronteranno con problemi complessi. Dovranno improvvisare ma con metodo, in modo flessibile e serio al tempo stesso, soprattutto lungimirante. Insomma, dovranno apprendere l’arte del progetto, che è poi quella del rigore finalizzato ad uno scopo. C’è bisogno di qualcuno che insegni loro questa competenza; chi sarà in grado di farlo?