Funerali (residuo di memoria n.1)

Mi raccontava mio nonno, ma tanto tempo fa, quando ero ancora un bambino, che a Santa Vittoria di Gualtieri tutti i giorni c’era un funerale. I braccianti, che lavoravano nelle risaie, mangiavano solo polenta, tanta polenta. “Mica come me, che facevo il contadino e che alla domenica una scodella di minestra e un pezzo di carne me li potevo sempre permettere”. Si ammalavano di pellagra, che è una malattia brutta, che ti consuma lentamente: ti si squama la pelle, ti caghi addosso che sembri un bambino e poi, alla fine, quando arrivi all’ultimo stadio senza più speranza, ti si spegne lo sguardo e diventi matto. C’è chi vede la madonna e c’è chi scappa nei campi, di notte, urlando; con il diavolo incollato alla schiena.

Allora mi chiedevo come mai i matti frequentassero indistintamente santi e diavoli, come se non ci fosse nessuna differenza. Poi una volta ho visto un vecchio, avrà avuto circa ottant’anni, che correva lungo una carraia nei campi. Quando l’hanno preso, perché aveva il bastone e non poteva andare troppo lontano, ha detto che lo cercavano i fascisti, e che era l’8 settembre e che lui si voleva nascondere in una soffitta, da un vicino di casa. “Sono passati sessant’anni!” gli ha urlato la moglie, ma lui non capiva. “Ti prego, torna a casa. È tardi”. Quell’uomo non aveva la pellagra, aveva un’altra malattia che si chiama alzheimer, e l’alimentazione non c’entra niente, ma mi ha fatto riflettere. Ho capito che ogni malattia ha i suoi diavoli e i suoi santi, e che la vita e la morte, l’estasi e la follia, sono le due facce della stessa medaglia.

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