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Milena Gabanelli? No grazie

Milena Gabanelli

Milena Gabanelli Presidente della Repubblica italiana? No grazie, per due ragioni almeno. Primo. Nessuno potrà mai negare le qualità professionali e il coraggio di questa stella del giornalismo di inchiesta; nemmeno che Milena Gabanelli abbia svolto e continui a svolgere per la nostra comunità un servizio imprescindibile; però, mi chiedo, non sarà questa scelta il segno dello spirito dei tempi televisivi? Un segnale di sudditanza culturale dell’italiano medio che vota in rete le quirinarie come se fossero un sondaggio di Sky o di Servizio Pubblico? Secondo. Un amico mi ricorda che conservazione e progresso sono concetti relativi. Da progressista convinto, conservo l’idea antica e saggia che la politica debba essere fatta da chi se ne intende. Parafrasando Platone, nessuno sceglierebbe come chirurgo un appassionato di medicina che legge la domenica qualche testo di anatomia; e nemmeno come pilota del Jumbo che lo porterà in vacanza un novellino con poche ore di volo sulle spalle, per di più trascorse su un Cessna monomotore a elica. E allora, come mai la politica, che è l’arte più importante perché ha come obiettivo la felicità e l’armonia di una comunità, deve essere lasciata ai dilettanti? Tutto questa cultura pop finirà col venirmi a nausea. È l’estrema propaggine del populismo, teniamolo presente. E io non voglio che una moda passeggera ci porti a confondere il cane che latra con il cane costellazione celeste.

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Più idee e meno fatti

Vorrei sviluppare due riflessioni collaterali a questa interessante intervista di Gad Lerner al Movimento Wu Ming.

La prima riguarda l’ostensione del corpo del capo, e la funzione che questa svolge in termini di comunicazione. Venendo meno lo spazio concreto del confronto politico, e il ruolo guida svolto dalle ideologie, la fisicità del leader diventa l’unico strumento con cui è possibile superare l’astrattezza e l’atomizzazione dei rapporti politici. Il corpo non solo dà visibilità in campagna elettorale, ma serve anche a coagulare intenzioni diverse e potenzialmente centrifughe. Esso riempie il pieno dell’assenza ideologica. La trasversalità del movimento è condensata negli strepiti di Grillo, nel suo arringare scalmanato e carismatico, nel suo sudore. Il corpo segue il ritmo della concupiscenza e dei borbottii intestinali. Non temperato dall’idea è solo capriccio, o peggio volontà di potenza; in altre parole: nichilismo.

La seconda osservazione invece è inerente al ruolo centrale svolto dalla televisione nella costruzione dell’antropologia italiana degli ultimi trent’anni. I vari Drive In, Striscia La Notizia – i reality show! – hanno plasmato lo spirito del popolo più di qualsiasi altra agenzia educativa. Una melassa indistinta di intrattenimento analfabeta si è fagocitata la possibilità stessa di un registro comunicativo differente. E allora gli elettori sono diventati spettatori, la partecipazione televoto, e il consenso audience.

Adesso, che la parabola di questa deriva populista sembra arrivata al suo culmine, servirebbero più idee e meno fatti. Ma la sensazione angosciante è che gli ingranaggi della storia abbiano cominciato a girare inesorabilmente, e che ogni sforzo di raddrizzare la barra del timone sia ormai del tutto inutile.

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Berlusconi – Badoglio

 

Quale che sia l’appartenenza politica di ciascuno, è evidente a tutti che nella diagnosi di simulazione c’è l’ epitaffio di un leader politico, la fine di ogni residua illusione di trovarsi davanti ad uno statista perche la finta malattia è la risorsa dello studente pelandrone che, per marinare la scuola pasticcia quadri clinici e alza il mercurio al fuoco di un cerino, o della recluta che si infilava il mezzo toscano sotto l’ascella, o del coscritto che si infliggeva ferite di ogni genere sino al taglio di un dito, o ancora del disertore che simulava la pazzia. Berlusconi finto malato è il Badoglio di tutti a casa, il generale che si rivela più fellone dell’ultimo dei suoi fanti.

Francesco Merlo con due pennellate di poesia pura riesce a rendere tutta la meschinità di un uomo inadeguato, di un politico che più di tutti gli altri testimonia la rovina del nostro Paese.

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M5S: questioni di leadership

Alcune preziose analisi di Alessandro Cravera sulle contraddizioni del M5S.

M5S: questione di leadership

Grillo e Casaleggio hanno finora certamente svolto un importante ruolo di leadership. Grazie al loro lavoro sul web sono riusciti a innescare un potente moto di adesioni dal basso che ha generato il successo elettorale di questi giorni. Finora il loro ruolo è stato prevalentemente (non in maniera assoluta e non so quanto consapevolmente) quello di generare un contesto auto-organizzativo in cui i cittadini potessero dialogare, confrontarsi tra loro e trovare uno spazio diretto di partecipazione alla vita politica e al rinnovamento della stessa. Non considerando alcuni diktat di Grillo nei confronti di alcuni esponenti del movimento, la loro è stata una leadership prevalentemente indiretta, tanto vero che nessuno dei due si è candidato direttamente in Parlamento. Un esempio di leadership quindi, per molti versi coerente con le dinamiche evolutive tipiche di un sistema complesso qual è la società.
Ora però, pare che la loro leadership stia cambiando forma tornando a modalità ben più tradizionali. Il loro ruolo non sembra più essere di innesco per l’emergere di una decisione condivisa. Le decisioni riguardanti il M5S le stanno prendendo direttamente i fondatori che, in questa fase politica, assomigliano più ai proprietari che agli ispiratori del movimento. Una situazione questa che, se confermata, evidenzierebbe una difficoltà a interpretare una visione diversa della leadership nel momento della presa di decisioni. Permane un concetto di leader come colui che decide direttamente e che possiede tutte le risposte, ben lontana dalla figura del leader che, attraverso la propria azione e le domande che pone mette in condizione gli altri di prendere la migliore decisione possibile.
Da un movimento politico che vuole cambiare radicalmente la vita politica italiana mi aspetterei un analogo cambiamento nella proprie logiche interne di governance. Cambiamento che finora si è visto solo a tratti.

(via Competere nella Complessità)

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Mamma li moderati! (o l’ex partito dell’amore…)

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